Non penso che esistano libri per tutti. Qui o altrove riporto citazioni che «colleziono» con uno scopo, e che corredo con un’immagine soltanto per motivi «tecnici» e non per bibliofilia. Le appunterei comunque, per cui qui e altrove non sono rivolte a nessuno, non devono essere belle né implicano che io stia consigliando il libro da cui sono tratte: le mie irrilevanti attività sui social sono le scorie di un’altra attività.
Premesso questo, di certo consiglio «Divorati» a chi, come me, ama Cronenberg da sempre: è esattamente come avrei voluto che fosse un suo romanzo, anzi, è meglio. Cronenberg, che ha esordito a 71 anni (ma ce ne ha messi otto per scrivere «Divorati»), non sembra un regista prestato alla letteratura: le ossessioni del suo cinema ci sono tutte, ma «Divorati» non ne è un inventario. I personaggi sono tutti sopra le righe, ma vivi e divertenti (proprio nel senso di «umorismo», un concetto frainteso dalla narrativa contemporanea): non ce n’è uno che sia una marionetta funzionale. E il descrittivismo, a metà tra nouveau roman e un certo postmoderno, esasperante quando tocca il superfluo (vedi la pippa sul Nespresso a p. 120), diventa meravigliosamente maniacale quando tratta malattie e tecnologia. Ovviamente è il trionfo del politicamente scorretto, e potrebbe risultare indigesto ai cuori teneri. Per me è letteratura, intendendo per letteratura quella letteratura che ha un carattere, che non è epigonica, che segue una sua strada con accanimento. Vorrei scoprire se una cosa del genere può piacere anche a chi non apprezza Cronenberg, ma considerata la mia visibilità sui social è probabile che rimarrà un dubbio irrisolto.
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David Cronenberg, «Divorati» (2014), trad. di Carlo Prosperi, Bompiani, 2014.
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